Il Mercato equo e solidalecapirne per evitare lo sfruttamento dei popoli |
|||||||||||
Ci sono migliaia di azioni che quotidianamente compiamo senza essere consapevoli di quali criminali o azioni delinquenziali stiamo appoggiando. Sembra strano, ma imprenditori onesti spesso si sono trovati a chiedersi come sia possibile che la sola materia prima di un articolo di loro produzione possa costare di più di un articolo già finito che spesso si trova sul mercato. Noi sappiamo che oggi il costo maggiore di un'azienda è proprio la mano d'opera, per cui se ci sono disonesti che sfruttano esseri umani in veri e propri campi di concentramento senza pagarli e senza quasi pagare le risorse del territorio in cui viene depredata la materia prima per la realizzazione del prodotto. Questo che segue è un video molto istruttivo di Annie Leonard dal titolo Lo stato delle cose in cui potete cominciare a rendervi conto di cosa significhi lo sfruttamento delle persone e dell'ambiente.
Poi ci sono sempre più casi in cui, anche in Italia, vengono scoperti dalla polizia fabbriche in cui immigrati asiatici lavorano in centinai e per tempi ininterrotti e che vengono fatti dormire in decine in una stanza. Per non parlare dei cosidetti laogai, campi di concentramento in cui vengono imprigionati i dissidenti politici cinesi. ![]() Corre voce che tutta la questione dei Laogai sia una emerita bufala, ma se si fanno ricerche approfondite, si può vedere che ciò che viene a galla non è cosa da poco; in questa immagine vediamo, per mezzo delle macchiette azzurre, l'immensa quantità di campi di concentramento sparsi sul territorio cinese: sì, quelle macchiette azzurre non sono un difetto dell'immagine, ma grossi addensati di campi di concentramento dove la gente muore per produrre cose che i popoli di un'altra parte del mondo utilizzerà per la propria sopravvivenza e marchiate Made in China o in PRC (Repubblica Popolare Cinese). Io sono dell'idea che se sono sul percorso della definizione del Sé devo essere impeccabile, e non si deve coltivare tutto ciò che non è etico; anche i nostri commercianti e le nostre fabbriche sono in crisi per l'enorme sfruttamento che una parte del mondo perpetra quotidianamente. Allora il documento che vedete qui, di 567 pagine, in cui sono descritti di centinai di campi di concentramento è anch'esso una bufala? documento mappatura laogai pdf vedi da pag. 36 a 538. Ecco che, grazie alla sensibilità di alcuni, qualche speranza ogni tanto si apre e ciò che oggi vogliamo analizzare sono gli effetti del mercato equo e solidale rispetto alla politica della devastazione e dello sfruttamento. Questa che segue è una ricerca dell'avvocato Paola Garini che, sensibile al problema, ce l'ha inviata per dare voce alle coscienze un po' più sveglie. Alla fine vi suggerirò qualche testo molto interessante da consultare. Buona lettura e grazie a Paola Garini. Arcangelo MIRANDA1) COS’E’ IL MERCATO EQUO E SOLIDALEÈ, dunque, una forma di commercio internazionale nella quale si cerca di far crescere aziende economicamente sane e di garantire ai produttori ed ai lavoratori dei paesi in via di sviluppo un trattamento economico e sociale equo e rispettoso; in questo senso si contrappone alle pratiche di commercio basate sullo sfruttamento che si ritengono spesso applicate dalle aziende multinazionali che agiscono esclusivamente in ottica della massimizzazione del profitto. Alla base del Commercio Equo e Solidale (praticato soprattutto da associazioni e cooperative, con un'elevata presenza di volontariato nei paesi ricchi) c'è dunque la volontà di contrastare il commercio tradizionale che si basa su pratiche ritenute dannose quali:
Il commercio equo-solidale interviene creando canali commerciali alternativi (ma economicamente sostenibili) a quelli dominanti, al fine di offrire degli sbocchi commerciali a condizioni ritenute più sostenibili per coloro che producono. I principali vincoli da osservare per entrare nel circuito del commercio equosolidale sono i seguenti:
Gli acquirenti importatori diretti o centrali di importazione) dei paesi ricchi, si assumono impegni quali:
Le organizzazioni del fair trade (FTOs - Fair Trade Organizations) che aderiscono a WFTO (ex IFAT, Associazione Internazionale del Fair Trade; fonte: qui) la federazione mondiale del commercio equo e solidale, sono coinvolte attivamente nell'assistenza tecnica ai produttori, nell'azione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e delle istituzioni e nello sviluppo di campagne volte al cambiamento delle regole e delle pratiche del commercio internazionale. WFTO definisce gli STANDARD, ovvero i criteri generali che gli operatori di commercio equo ad essa accreditati sono vincolati a rispettare, e un CODICE DI CONDOTTA CONDIVISO in un'ottica di verifica del corretto operato di tali organizzazioni e di trasparenza verso i consumatori e gli altri interlocutori. Ho trovato interessante l’articolo scritto da Silvia Bergamo e Pietro Raitano per la rivista Altromercato, numero di aprile 2011, perché, al di là dei concetti e dei principi del fenomeno equo e solidale, fornisce un quadro concreto della realtà italiana, dati e cifre alla mano, luci e ombre. (fonte: agices) Ho scoperto inoltre che i produttori e i prodotti non sono solo “esotici”, ma anche italiani, e chi ha qualche collegamento con il mondo dell’agricoltura sa quanti contadini abbiano deciso di abbandonare la propria terra, vendendola ad investitori e multinazionali, non riuscendo a ricavare dalla coltivazione quanto bastava per il sostentamento della propria famiglia. 2) ESEMPIO DI TRASPARENZA DEL PRODOTTO: il prezzo equo
fonte: Altromercato COS'E' UN PREZZO EQUO? Uno degli scopi principali di ogni FTO è la riduzione della povertà tramite nuove forme di commercio. Ogni FTO garantisce supporto ai produttori economicamente svantaggiati, siano essi indipendenti, business familiari, associazioni o cooperative. Il commercio equo supporta lo sviluppo della comunità e cerca di abilitare il produttore affinché riesca ad uscire dalla posizione di vulnerabilità in cui risiede per giungere ad un approdo più sicuro; cerca di toglierlo dalla povertà materiale, per garantirgli una rendita e una proprietà. Ogni FTO ha un piano d'azione per portare avanti questo progetto. È considerato equo un prezzo concordato tra le parti tramite il dialogo e la partecipazione, che garantisca una retribuzione equa per i produttori ma allo stesso tempo sia sostenibile dal mercato. Laddove esistono prezzi equi minimi (fair trade minimum price), stabiliti a livello internazionale, questi sono rispettati. Un pagamento equo significa una remunerazione socialmente accettabile (nel contesto locale), considerata equa dai produttori stessi e che prende in considerazione i principi di uguale retribuzione per uguale lavoro per donne e uomini. Le FTO aiutano a fornire una giusta valutazione dei costi e dei prezzi, come richiesto dai produttori. I compratori Fair Trade, importatori ed intermediari, assicurano un pronto pagamento ai loro produttori e agli altri partner e, quando possibile, li aiutano attraverso un prefinanziamento, una raccolta anticipata di fondi (pre-raccolto o pre-produzione). Infine, la produzione di prodotti ad alto valore aggiunto è incoraggiata. ![]() Tale giusto compenso permette ai fornitori del Sud del mondo una vita dignitosa e tiene conto sia dei costi delle materie prime, dell’attrezzatura e del lavoro, sia della realizzazione di alcuni progetti di sviluppo a beneficio della comunità. Molto chiaro questo grafico: ![]() Fonte: Altromercato Tutto fantastico, no? Però mi sono chiesta: 3) MA CHI CONTROLLA CHE LE REGOLE SIANO RISPETTATE?Diversamente utilizzare la dicitura "equo-solidale" sul prodotto è illegale Della prima (WFTO) abbiamo già detto brevemente, AGICES è invece l'associazione di categoria delle organizzazioni che promuovono i prodotti e la cultura del commercio equo e solidale in Italia, ed e' l’ente depositario della Carta Italiana dei Criteri del Commercio Equo e Solidale. L'AGICES ha fra i suoi scopi quello di gestire il Registro Italiano delle Organizzazioni di Commercio Equo e Solidale attraverso l’individuazione di standard ed indicatori oggettivi, concreti e verificabili, che rappresentano la trasposizione operativa dei principi generali contenuti nella Carta dei Criteri. http://www.agices.org/it/ Legislazione e Normativa Purtroppo il nostro Stato non si è ancora dotato di una normativa sul fenomeno del mercato equo solidale, si rinviene soltanto una PDL (proposta di legge). Vi è però normativa a livello europeo e leggi emesse a livello regionale. Segnalo in particolare la Toscana, tra le prime a dotarsi di uno strumento normativo, e l’Emilia Romagna (Legge Regione Toscana 24/2005; Legge Regione Emilia Romagna 110/2009). Queste le prime fonti normative rinvenibili sul sito dell’Agices. PARLAMENTO EUROPEO - Risoluzione 8 ottobre 1991 sul sostegno attivo ai piccoli coltivatori di caffè del Sud del mondo mediante una politica mirata di approvvigionamento e di introduzione di tale prodotto di provenienza del commercio equo e solidale nelle istituzioni comunitarie - Risoluzione n. A3-0373/93 del 19 gennaio 1994 sulla promozione del commercio equo e solidale fra nord e sud - Risoluzione n. 198/98CE 1998 [2 luglio 1998] PARLAMENTO ITALIANO L'11 luglio 2006, a Roma, nella sala stampa della Camera dei deputati è stato presentato il Disegno di legge n. 1828/2006 della Camera dei deputati “Disposizioni per la promozione del Commercio Equo e Solidale”. Una proposta gemella, bipartisan e 'bicamerale' perché depositata in forma identica in entrambi i rami del Parlamento e sottoscritta da 39 senatori e da più di 80 deputati. Legge Regione Toscana 24/2005 Legge Regione Emilia Romagna 110 /2009 ... e per finire... 4) LE CRITICHE AL MODELLO “EQUO E SOLIDALE”Potrebbe essere interessante fare un intervista all’AGICES, per verificare lo “stato dell’arte” in Italia. Secondo alcuni economisti e filosofi, tra cui Fritjof Capra (fisico e scrittore di fama mondiale), il modello di mercato proposto dal commercio equo-solidale non è né efficace né efficiente negli scopi che si propone. Ad esempio, l'agricoltura biologica in Brasile deve comunque essere fatta a scapito della foresta amazzonica, ed il suolo ottenuto dal disboscamento resta fertile solo per pochi anni. Altro esempio: per irrigare territori desertici, spesso si causa la mineralizzazione eccessiva del terreno, vedi deserto del Mojave. (Da Wikipedia) Capra sostiene che il commercio equo e solidale non stia aiutando i Paesi in via di sviluppo in modo sostenibile. Secondo la sua analisi, i prezzi dei prodotti del commercio equo non tengono conto dei costi ambientali del trasporto dei beni dal Sud al Nord del Mondo e, a lungo andare, ne impoveriscono le risorse naturali. Capra sostiene anche che il concetto stesso di sviluppo, inteso come esportazione del modello di vita e dei livelli di consumo occidentali, non sia sostenibile. Ovviamente chi nel commercio equo vede una lotta per la giustizia sociale lo accusa. Il commercio equo assomiglia ancora troppo alla beneficenza piuttosto che alla soluzione dei problemi del mondo. Va bene per iniziare, ma non basta e non deve essere l’obbiettivo ultimo dei nostri sforzi (fonte: Ecoblog). Segnalo anche questo articolo: LUNEDÌ 11 DICEMBRE 2006 COMMERCIO EQUO E...SNOB? Le critiche dell'Economist al commercio equo e solidale (fonte QUI) ![]() L'articolo pubblicato, constatando la crescita del "business" equo solidale, afferma che al contrario questo danneggerebbe uomo e ambiente, contrariamente al fine dichiarato di sostegno e sviluppo sostenibile. Il commercio equo e solidale, ha infatti registrato una crescita nel 2005 del 37 %, raggiungendo 1,4 miliardi di dollari, tenendo anche conto del fatto che i prodotti sono venduti a un prezzo superiore a quello di mercato; cinque sono le obiezioni che solleva l’Economist: 1. l’aumento dei prezzi di beni comuni, ad esempio il caffè, ne incoraggia la coltivazione, contribuendo così ad abbassare ulteriormente i prezzi ma escludendo gli agricoltori che non producono equo solidale; 2. la certificazione equa e solidale verrebbe concessa sulla base di "pregiudizi politici", favorendo le cooperative ed escludendo le imprese famigliari; 3. inoltre, l’esistenza di un prezzo minimo bloccherebbe la competizione commerciale; 4. solo il 10 per cento della rendita equa e solidale, per l'Economist, andrebbe ai produttori, mentre il resto rimarrebbe a distributori e rivenditori; 5. infine l'agricoltura biologica (spesso non biologica per l'Economist), danneggerebbe l'ambiente: alla riduzione delle distanze corrisponderebbe infatti un aumento dei viaggi e di conseguenza delle emissioni. Non è quindi, secondo l'Economist,il mutamento di sistema economico il modo per affrontare i problemi globali bensì“I veri cambiamenti richiedono decisioni dei governi" annoverando tra le possibili misure una carbon tax globale, la riforma del commercio internazionale, l’abolizione delle tariffe e dei sussidi all’agricoltura, con riferimento critico particolare alla politica agricola comune (Pac) europea. La posizione dell'Economist, giustamente ribadisce la responsabilità politica, come sottolineato più volte, sul mancato raggiungimento degli obiettivi cui tendono le iniziative globali per lo sviluppo dei paesi poveri; ma sottolineando l'inefficenza di un altra economia, come quella equo solidale, fa rientrare della finestra quella liberista: nonostante si calcoli che una maggiore libertà di scambio potrebbe far crescere del 5% il Pil africano e che quindi solo il modello liberista possa risollevare le sorti dei terzi mondi, queste stesse politiche, promosse dalla Banca Mondiale, in questi anni hanno mostrato il contrario. Carlo Maria Cipolla, nella sua discussione dell'argomento suIl Foglio del 9 Dicembre, scomoda anche la sociologia, individuando nello "snobismo politico e vezzo da ricchi" di chi acquista equo solidale la categoria antropologica di chi "causa un danno agli altri subendo egli stesso una perdita". E accanto a profili del consumatore equo e alla conseguente ironia e sufficenza, si avanzano le dietrologie, come quella di Eleonora Barbieri, che su Il Giornale del 9 Dicembre afferma che "quella dell'ambientalismo, in realtà, è solo una maschera: dietro, c'è il solito protezionismo vecchio stile". Non è la prima volta che il commercio equo solidale viene messo sotto accusa: il 9 Settembre è stata la volta del Financial Times, cui è seguita la risposta di Fairtrade. Ma queste critiche, data la loro provenienza, e la scarsa fondatezza, hanno più il sapore di accuse ideologiche, a un fenomeno che proprio per la sua crescita e fecondità rappresenta un modello altro e di successo al sistema economico vigente. MIE CONCLUSIONI Se il mondo c.d. civilizzato non continuasse ad impoverire il c.d. terzo o quarto mondo e se ci si orientasse solo ai prodotti “nostrani”, non ci sarebbe alcun bisogno del Fair trade, ma sino a che ciò non accadrà, probabilmente questo sistema sembra effettivamente consentire un approvvigionamento di beni prodotti con criteri etici. Paola Garini Bologna, 11 maggio 2011 Fonti: · Economist, 8 Dicembre 2006 · Il Foglio, 9 Dicembre 2006 · Il Giornale, 9 Dicembre 2006 · Fairtrade Italia Per saperne di più su una economia distorta:
|